2018
TEORIA E MODELLO DELLA MENTE ESTESA (MME)
La teoria della mente estesa (MME) di Andy Clark e David Chalmers rientra
nel filone moderno delle ricerche cognitive che sanciscono il superamento
dell’interpretazione classica (SCC o scienza cognitiva classica). Quest’ultima
afferma che i processi cognitivi sono espressione finale
dell’elaborazione di informazioni esterne acquisite e filtrate da aree
cerebrali preposte e di ordine superiore. Esistono quindi delle aree
architettoniche del cervello deputate all’elaborazione di particolari input in
ingresso (teoria della modularità della mente).MME ipotizza invece un funzionamento
molto più complesso e si domanda: l’identità e il pensiero superano il confine
del cranio? L’uomo si estende al di là del limite fisico circoscritto dalla
propria pelle? Il pensiero della persona è in simbiosi con la tecnologia e le
influenze culturali? In altre parole, la nostra mente funziona in maniera
potenziata per la stretta associazione con artefatti esterni con cui è un
tutt’uno?
Un approccio di indagine di questa portata tenta di superare il gap imposto
dal costrutto biologico e dalle teorie della mente confinata nel cervello (MMC)
riconoscendo invece una stretta relazione tra scienze cognitive e ruolo
dinamico dell’ambiente esterno. L’obiettivo finale è quello di creare una
teoria della mente umana inscindibile da una matrice di ordine naturale e
tecnologico, una mente che funziona anche con l’ausilio di supporti fisici
esterni al cervello stesso.
Nel modello MME di Clark e Chalmers la relazione tra cervello ed artefatti
esterni si configurerebbe per abbinamento seguendo il principio di parità;
esisterebbe quindi un canale di selezione per valutare risorse e affinità al
proprio sistema. Tutto questo in un’ottica preferenziale mirata
all’accrescimento delle capacità di base dell’individuo. Nel libro di Clark,
Natural-born cyborgs del 2003 l’Autore afferma che “risultiamo così
brillanti e capaci di pensiero astratto perché i nostri cervelli, più di quelli
di qualsiasi altro animale sulla terra, sono fatti per cercare e stabilire …
relazioni con risorse non biologiche si noti anche che in questa prospettiva
esternista, il motore primo dell’intelligenza è il cervello, ma un cervello
enormemente potenziato dalle risorse esterne”. (vedi M. DI FRANCESCO – G.
PIREDDA, 2012:123)
Appare evidente da questa affermazione, come nel pensiero di Clark sia riconosciuta
una grande influenza della tecnologia nel definire la natura
dell’uomo moderno: il cyborg attingerebbe all’esterno per il suo funzionamento
cognitivo ottimale, ciò fa si che l’individuo sia un essere umano supportato da
grandi propaggini esterne (ad es. smarthphone, tablet, archivi digitali o cloud
computing che ridimensionano spazi di condivisione, di accesso e di
“approvvigionamento dati”).
In questa mega-espansione, il SNC (sistema nervoso centrale) assolve sempre
un ruolo dominante di centrale di controllo che può comunque subire modifiche
di tipo neuroplastico qualora l’interscambio con l’artefatto esterno intervenga
in un processo di selezione naturale che ne ristruttura il funzionamento
originario.
Pensiamo ad esempio al linguaggio “Ciò che MME aggiunge è il ruolo di
costruzione sociale di un ambiente intelligente e favorevole all’estensione
della mente operato dal linguaggio. Il possesso di un linguaggio pubblico si
configura come qualcosa che va oltre le valenze comunicative da intendersi non
solo <come un mezzo per rappresentare il mondo o per esprimere i propri
pensieri, ma anche come uno strumento per effettuare cambiamenti nel proprio
ambiente” (GAUNKER, How to learn a language like a chimpanze, Philosophical
Psychology 3,1,pp. 31-53 in M. DI FRANCESCO – G. PIREDDA, 2012: 133)
Bibliografia
Alessandro VATO, Arrivano i cyborg. Dove
neuroscienze e bioingegneria si incontrano, Milano, Hoepli, 2015
David CHALMERS, a cura di Nicola ZIPPEL, Che
cos’è la coscienza?, 2014, Roma, Castelvecchi, 2014
Michele DI FRANCESCO – Giulia PIREDDA, La mente
estesa. Dove finisce la mente e comincia il resto del mondo, Milano,
Mondadori Università, 2012
CLARK A., Natural-born
cyborgs; minds, technologies and the future of human
intelligence, Oxford University, 2003
Andy CLARK, David
CHALMERS, The extended mind, Rivista Analysis 58:10-23, 1998
2015
NEL MONDO DELLE
MACCHINE - La relazione uomo - macchina
Ogni uomo ha il suo robot o meglio i suoi robots: calcolatrici,
elettrodomestici, computers, cellulari, ect.
Mettendo da parte il piccolo robot multifunzioni - a cui deleghiamo
anche compiti complessi -e passando all’osservazione di un sofisticatissimo
robot da laboratorio che dovrebbe essere la replica perfetta di un essere
umano, quali dovrebbero essere gli elementi discriminanti a confronto con il
vero essere umano, pensante e quindi vivente?
Innanzitutto il LINGUAGGIO COMPLESSO poi la CAPACITA’ DI PROVARE SENTIMENTI
E QUINDI DOLORE. La capacità di essere empatico, di sentire l’altro emotivamente.
Oggigiorno, il rapporto con la tecnologia è di tipo full immersion,
cioè totale, in una sorta di mutua dipendenza da non farci più nemmeno caso,
sempre più assorbiti in una relazione che nasce a partire dalla “delega
cognitiva" che ci predispone alla “fossilizzazione cognitiva". Questi
concetti che trovo nell’interessante libro di Paolo GALLINA*, Professore
di robotica presso l’Università di Trieste mettono in primo piano conseguenze e
prospettive del legame tra essere umano e macchine. Ma approfondiamo questi
significati e partire dalla metafora della “chiocciola” con cui l’Autore
definisce ognuno di noi: “Come la chiocciola si porta dietro il guscio, così
gli umani si portano dietro una serie di strumenti, dispositivi, congegni che
costituiscono un prolungamento e un’estroflessione delle dotazioni
psicofisiche ereditarie”. (Dalla prefazione di Giuseppe O. LONGO in GALLINA P.,
2015 pag. 6*)
Tutto ciò predispone al passaggio evolutivo dall’Homo Sapiens all’Homo
Technologicus e a riguardo G.O.LONGO individua come “…l’uso degli
strumenti si configura come una vera e propria ibridazione: innestandosi
nell’uomo, ogni nuovo apparato da luogo a un’unità evolutiva (un simbionte) di
nuovo tipo, che attua potenzialità umane – percettive,
cognitive e attive – inedite e a volte del tutto impreviste, e di questa
coevoluzione ibridativa non è possibile indicare i limiti” (ibidem p. 5-6)
L’utilizzo delle macchine ha portato l’essere umano ad abbandonare alcuni
schemi mentali che vengono, appunto, sostituiti dal ruolo e dalla funzione
della macchina stessa che diviene custode e detentrice di una particolare
funzione cognitiva (basti pensare alle memorie esterne custodite da hardware,
ai cloud computing e anche alle semplici calcolatrici che ci sostituiscono in
ogni operazione matematica, ect). Tutto questo è quindi definito come delega e
fossilizzazione cognitiva (quest'ultimo è un processo irreversibile).
Come scrive LONGO (ibidem: 9) una volta che un dispositivo è stato
“adottato”, esso ci condiziona anche inconsapevolmente in virtù di un rapporto
di soddisfazione e di utilità a cui poi diviene difficile sottrarsi.
Il rapporto Uomo – macchine si plasma sul substrato stesso dalla
materia, con oscillazione tra legame fisico, oggettivo ed astrazione e quindi
sentimento.
Per meglio far comprendere come ciò sia possibile, GALLINA
descrive i suoi stessi sentimenti nel momento in cui, insieme alla
moglie, gettava via nel bidone dei rifiuti un vecchio atlante stradale (vedi a
riguardo il paragrafo Morte di un atlante stradale a p.
22) concludendo così “...l'uomo, per rilevare vita, coscienza o dignità
in ciò che lo circonda, ha bisogno prima di tutto di materia” (ibidem: p. 27).
Nel mondo moderno in cui tutti siamo sovrastimolati ed ipersollecitati, di
pari passo ad un destino che procede in una realtà spesso minacciosa e
imprevedibile, sembrerebbe che l’Uomo cerchi conforto e rassicurazione nel
rifugiarsi in mondi artificiali e virtuali anche perché come dice GALLINA
“…siamo esseri abituati a spremere felicità dalla tecnologia, non possiamo più
liberarcene, né invertire la rotta. Viviamo in un mondo inadatto. Per qualche
ragione, l’evoluzione ha messo a punto nelle specie viventi un processo
dinamico alimentato dall’insoddisfazione. Per gran parte della nostra
esistenza, il mondo è insipido e motivo d’angoscia. La tecnologia è diventata
perciò lo strumento lenitivo per eccellenza…”(ibidem: 224)
BIBLIOGRAFIA
*GALLINA Paolo, L’ANIMA DELLE MACCHINE.
Tecnodestino, dipendenza tecnologica e uomo virtuale, Prefazione di Giuseppe O.
LONGO, Edizioni Dedalo, 2015