2022
Chinese Vlogger - LI ZIQI 李子柒 - ALLA SCOPERTA DELLE TRADIZIONI NELLA CULTURA CINESE
Li Ziqi è un canale youtube di “oriental
lifestyle foodie” che vanta – attualmente - 16,6 milioni di
iscritti. Ambientato nella foresta a nord-ovest della Contea di Pingwu
(Prefettura di Mianyang - provincia del Sichuan) racconta tradizioni e cultura
della Cina attraverso la vita di una giovane vlogger: Li Ziqi, classe
1990. Dalla biografia - pubblicata sullo shop
omonimo - si apprende che la nostra protagonista ha avuto un’infanzia poco
felice, segnata in particolare dal divorzio dei genitori e dalla prematura
scomparsa del padre. Eventi che la porteranno a vivere insieme ai nonni. Dal
nonno avrebbe appreso i segreti dell’arte culinaria; egli infatti è stato lo
stimato cuoco del villaggio, in cui ricopriva un ruolo di responsabilità in
tutte le cerimonie che riguardavano la comunità (prevalentemente matrimoni e
funerali). Col passare degli anni, la forza di lottare per sé e la propria
famiglia ha temprato lo spirito di Li Ziqi, spingendola ad apprendere abilità
tecniche con cui cimentarsi in lavori artigianali, da carpentiere ma anche di
semina e coltivazione di ampi orti. Inizialmente il destino è stato avverso e
doloroso, costringendola ad un percorso di vita alternativo a quello della
maggior parte dei suoi coetanei. Infatti, sempre dalla sua biografia
apprendiamo che, a 14 anni è stata costretta a lasciare la scuola, che ha
conosciuto anche la fame e che le ristrettezze l’hanno portata a cercare un
riparo di fortuna anche in una grotta, sotto ad un ponte. Ha lavorato inoltre
come cameriera, elettricista e infine DJ. Quest’ultima esperienza
lavorativa le ha consentito di apprende tra l’altro l’editing dei
video, esperienza fondamentale in quella che sarà poi la sua attività
imprenditoriale. Improntata al desiderio di esprimere una capacità di pensiero
autonomo e uno stile personale unico, unito all’obiettivo di migliorare e
sempre, Li Ziqi ha organizzato la playlist del canale anche in base alle quattro
stagioni dell’anno con relative specifiche climatiche, di semina e di raccolto:
primavera, estate, autunno, inverno. Stagione dopo stagione, ci svela i
segreti della semplice vita di campagna, mostrandoci la ricca produzione dei
boschi come funghi, bambù ed altro ancora ma anche quella dell’orto, ricco di
erbe aromatiche, varietà di zucche e di peperoncino, ect. Il tutto realizzato
con elegante ricerca estetica di ottimizzazione dell’immagine, di colori
perfettamente assortiti, di ombre, di sfumature in ralenti, di silenzi e di
sottofondi musicali rilassanti e quando pensi di aver scoperto tutto ecco che
inaspettatamente Li Ziqi posta un video sulla tecnica di ricamo Shu con filo di
seta, cambiando rotta tematica oppure mostrandoci come si può produrre artigianalmente
la carta, oppure come progettare e costruire timbri (a riguardo vedi video
“Woodblock printing, engraved with the essence of ancient Chinese culture”).
Il video più popolare “A special program on New Year
snacks” (quota 107 milioni di visualizzazioni) ha inizio nei boschi con la
raccolta delle castagne, insieme ai fidi animali domestici che partecipano di
molte delle sue avventure. Tra questi uno meno scontato, una pecorella. Il
fruscio delle foglie secche, il crepitio dei ricci che si rompono sotto la
pressione di una sorta di pinza-schiaccianoci sono il prologo di un video che è
un piccolo capolavoro in cui si preparano croccanti, mele caramellate e altre
delizie e in cui la fine della giornata di faccende è sancita dalla visione di
un cielo stellato che in città non si può più vedere a causa delle luci
parassite. Poi, la nuova giornata preannuncia un arrivo tanto atteso: Li Ziqi
saluta con gioia, da lontano, l’uomo che porta la macchina per fare i popcorn.
Con l’occasione ci farà conoscere il metodo di preparazione locale sotto lo
sguardo divertito della nonna, personaggio molto tenero e dolce.
Nel maelstrom del presente e futuro tecnologico
che caratterizza molti aspetti della nostra vita, l’ampio successo di canali
come questo testimonia l’interesse, ma anche l’aspirazione, ad una
vita autentica in cui le antiche tradizioni di vita possono diventare
imperiture.
2020
ANTROPOLOGIA
MUSEALE
Il lavoro sul campo – la cosiddetta osservazione
partecipante inaugurata da Malinowski negli anni venti- è il mezzo
principale attraverso il quale viene raccolta la maggior parte del materiale
documentario. Essere uno spettatore empatico che annota minuziosamente
l’attività sul campo, senza distorsioni personali e con buon intuito psicologico,
può attuarsi anche nella visita ad un museo oppure ad uno stand temporaneo
allestito a tematica ben definita.
L’accesso alle mostre offre la possibilità di entrare
in contatto con la storia e le tradizioni di altre culture, attraverso un
viaggio rapidissimo tra passato e presente che incomincia dallo sguardo, perché
è risaputo che un’immagine vale più di mille parole. Il materiale narrante è
ricco di fotografie di repertorio, ma anche oggettistica che racconta la vita
quotidiana o dei giorni di festa.
Il rapporto esistente tra valore etnografico
dell’oggetto stesso e valenze artistiche proprie, viene esaltata anche mediante
l’ottimizzazione del contrasto cromatico. Per questo motivo, spesso gli stand
hanno sfondi neri, sovrastati da faretti di luce, puntati sull’oggetto
protagonista assoluto della scena. L’idea di base è che il valore estetico dei
reperti può oltrepassare le frontiere culturali, convogliando un messaggio
anche emozionale, come una sorta di linguaggio codificato universale
condivisibile su base empatica. L’identità etnica prende forma proprio dalla
relazione con l’altro e in cui il confronto diviene un elemento positivo e
costruttivo: le diversità vengono valorizzate con possibilità di arricchimento
umano. La presentazione di capi di abbigliamento come i costumi, per esempio,
favorisce il perpetuarsi nel tempo dell’identità storica di un popolo,
rappresentandone la cultura e le rispettive tradizioni: di quali materiali sono
fatti? Quali ornamenti ne impreziosiscono la foggia? Il preservare queste
conoscenze dalla globalizzazione, offre anche la possibilità di opporsi alla
forza disgregante del tempo che passa. Lo studio della moda e del costume ci
introduce anche a varie chiavi di lettura: il costume come forza espressiva e
documentativa di monumento, ma è anche ciò che consente di essere associati ad
uno specifico ruolo nell’interno del sistema sociale. Anche gli utensili e gli
oggetti impiegati nella vita di tutti i giorni, sono importantissimi per
decifrare lo stile di vita, le credenze, le attribuzioni di significato. Se vi
siete imbattuti anche voi in oggetti a forma di animale, racchiusi nello
scrigno di qualche vetrina di un museo, ne avrete probabilmente percepito il
significato denso: dal valore puramente ludico, di giocattolo a quello di
utensile facilmente impugnabile. L’animale obbedisce e quindi, risponde alla
logica del comando, è utilizzato nel lavoro perché è intermediario tra l’uomo e
ciò che deve trasformarsi. L’animale è una creatura cooperativa,
indispensabile, un sostituto dell’assente. Nell’immaginario, può essere anche
rappresentazione di una presenza oscura e arcaica, quella di un mostro e di una
bestia guidata dall’istinto. Già nel pensiero evoluzionista era radicata l’idea
di un antenato animale, quale rappresentazione arcaica di religiosità (ad
esempio, la vacca sacra in India). Per Lévi-Strauss (grande antropologo
francese, esponente di spicco dello strutturalismo) le varie specie di animali
divengono oggetto di culto e di identificazione sociale da parte dei gruppi in
quanto ‘buone per pensare’ mentre per D. Winnicott (psicanalista britannico)
l’animale rivestirebbe un ruolo fondamentale come oggetto transizionale.
2017
MUKBANG E
SOCIAL-EATING METTI UN AMICO VIRTUALE A CENA
Negli ultimi anni, i programmi di cucina hanno
raggiunto una vastissima popolarità su tutti i mass-media, dalle serie
televisive, ai libri, alle riviste dedicate. Probabilmente tutto questo è
dovuto ai ritmi quotidiani under-pressure che ridimensionano il tempo da
dedicare al rapporto fisico con il cibo stesso e alle fasi della sua
preparazione, spingendo le persone a soluzioni alternative con cui colmare
questa mancanza.
Meno tempo si dedica a questo momento e maggiore
diviene il significato simbolico e rituale con cui viene investito il cibo stesso,
spingendo le persone alla ricerca di gratifiche seppur voyeuristiche nel vedere
altri cucinare, per esempio. (Rappoport L. 2003:205) Accentuato oltremodo,
anche perché lo stile di vita e di pensiero dell’uomo moderno è prevalentemente
dionisiaco ed ansioso per molteplici cause (narcisismo, frustrazioni,
incertezze, ect.). In questo frangente, il cibo è uno strumento a portata di
mano, con cui è possibile catturare sensazioni e soddisfazioni negate altrove.
In quanto sensorialmente ricco e fonte inesauribile di possibili e molteplici
varianti, permette infine di modellare e trasformare anche il proprio corpo.
Di non minore importanza, è il ruolo che riveste come
catalizzatore dei processi identitari secondo cui “grossi e grassi nelle
società della scarsità, massicci e muscolosi nella società industriale o
società guerriere, scarni e diafani nelle società religiose e teocratiche,
androgini e immortali nelle società tardo moderna” (D. SECONDULFO – D. VIVIANI,
2013:26) fino ad assolvere un valore relazionale importantissimo che
permette di fatto la messa in atto degli usi culturali, del ruolo di genere
facilitando la comunicazione all’interno di quello che è uno spazio condiviso
di spensieratezza e di compagnia (il momento del pranzo e/o della cena in famiglia,
con amici, colleghi, ect.).
E’ per tutti questi motivi che il cibo è di fatto un
linguaggio universale, qualcosa che accomuna ogni uomo in ogni luogo. Come nel
mukbang.
Un fenomeno virale nell’universo internet. Nato in
Corea del Sud consiste nel mangiare di fronte ad una telecamera
divulgando in streaming i relativi contenuti. Conosciuto anche come
social-eating/ eating-show è l’espressione inoltre di una nuova tendenza di
business, infatti, molti ne hanno fatto la loro professione (i cosiddetti mangiatori
professionisti o competitive eaters).
I Vlogs che vengono editati spesso a scadenza
quotidiana li mostrano immancabilmente sorridenti, divertiti, attorniati da
pietanze in bella vista. Se al di là dello schermo – in molti casi - esiste un
professionista del settore dall’altra parte troviamo milioni e milioni di
spettatori in ogni dove del globo che seguono con assiduità i loro beniamini.
Da una parte, abbiamo quindi il mukbang come fenomeno
digitale che pianifica la social media strategy con definizione del topic,
scelta di contenuti specifici, calendario di programmazione, identificazione
dei comparable, gestione della community. Dall’altra abbiamo invece, uno
spettatore attratto principalmente da un tema universale: il cibo e come
mangiarlo.
Nel mukbang le porzioni di cibo riferite al genere
sono sovvertite: le donne non mangiano piccole porzioni o meno degli uomini, ma
sono al pari di questi, grandi mangiatrici.
Pertanto, se l’interesse per il cibo può sottintendere
molteplici motivazioni, di fatto evidenzia come, ben si presti a veicolo
strumentale per fini molteplici, consentendo la messa in atto di strategie di
comunicazione universali.
BIBLIOGRAFIA
LAURITA Giuliana, VENTURINI Roberto, STRATEGIA DIGITALE IL MANUALE PER
COMUNICARE IN MODO EFFICACE SU INTERNET E I SOCIAL MEDIA , Hoepli 2014
Domenico SECONDULFO, Debora VIVIANI (a
cura di), MANGIAR SIMBOLI, CIBO BENESSERE E CULTURA MATERIALE, Qui Edit, 2013
Federico NERESINI e Valentina RETTORE (a
cura di), CIBO, CULTURA, IDENTITA’, Carocci, 2008
RAPPOPORT Leon, COME MANGIAMO. APPETITO.
CULTURA E PSICOLOGIA DEL CIBO, Ponte delle Grazie, 2003
Per ulteriori approfondimenti si rimanda
a:
Adema, Pauline.
"Vicarious comsumption: Food, television and the ambiguity of
modernity." The Journal of American Culture 23.3 (2000): 113
2015
TOUR DELLA SALA MESOAMERICA E AMERICA
CENTRALE DEL MUSEO PIGORINI DI ROMA
Arrivo in zona Palazzo dei Congressi all’Eur dove
spumeggiano le fontanelle in bella cornice alla sua ampia scalinata. E’ oramai
quasi mezzogiorno di fuoco, quando mi dirigo verso il Viale della Civiltà
del Lavoro con il Colosseo Quadrato di fronte, abbagliata dalla luce
d’estate che diventa ancora più intensa per via degli edifici candidi che
contraddistinguono questa parte del quartiere con i suoi imponenti colonnati e
i portici infiniti. Al semaforo giro a sinistra con il mio zainetto sulle
spalle, dando un’occhiatina di qua e di là mentre sulla via Cristoforo Colombo
sfrecciano auto ruggenti che puntano verso la via del mare. Infine, a piazza
Guglielmo Marconi avvisto il mitico obelisco di 45 metri dedicato
all’omonimo inventore (perché a Roma ci sono un sacco di obelischi se non lo
sapevi e sono tutti altissimi e molto belli).
Ed eccomi arrivata a Piazza Guglielmo Marconi, 14.
Sono rimasta affezionata a questo luogo-museo
che ho iniziato a conoscere ai tempi della mia tesi di laurea. Ho
frequentato in particolare la sua biblioteca privata, al fine di reperire parte
degli articoli che servivano alla stesura e spesso mi sono imbattuta
nelle sue mostre temporanee e ho girato e rigirato tra le sue sale e salito la
sua immensa scalinata tante di quelle volte per raggiungere le sezioni etnografiche
al primo piano…
Al Pigorini tutto è maestoso e è profondamente
significativo. Gli spazi sono immensi anche in verticalità fino a chiudere la
volta con un gigantesco lampadario a disco. Salgo lo scalone d’ingresso che
termina ai piedi di una splendida vetrata policroma del 1942 di Giulio Rosso -
Cosmogonia – realizzata con 54 pannelli che rappresentano gli strumenti
astronomici e gli schemi tipici delle concezioni tolemaica e copernicana
dell'universo con pianeti e segni zodiacali che si rincorrono e in cui
primeggiano i toni del rosso.
Giunta alla vetta mi volto indietro e vedo i turisti
in fila alla biglietteria piccoli come formichine.
Procedo poi a sinistra, verso la sala espositiva
“LE AMERICHE” il cui colore dominante delle pareti è un’ocra gialla e
calda picchiettata con giochi di luci puntati esclusivamente sugli oggetti e le
spiegazioni, per guidare il visitatore in una sorta di percorso visivo oltre
che didattico che non ammette distrazioni.
E’ qui che è possibile ricostruire cosa accadde in seguito
alla scoperta dell’America avvenuta il 12 ottobre 1492 quando Colombo,
sbagliando terribilmente rotta e sopravvivendo a diversi tentativi di
ammutinamento da parte del suo equipaggio, toccava terra alle isole Bahamas
credendo di essere finalmente arrivato nelle Indie: gli europei scoprirono -
invece - un mondo nuovo che esisteva da millenni!! (A quanto pare, quando
giunsero gli spagnoli la civiltà precolombiana era costituita da circa
50–100 milioni di abitanti e definita da oltre 4000 varianti linguistiche).
Scopro così che l’uomo americano ha origine dall’uomo
asiatico che giunse in questi luoghi utilizzando il ponte terrestre detto
BERINGIA (prodotto della glaciazione del Wisconsin) e che gli studiosi fanno
risalire ad una data compresa tra il 65.000 – 25.000 a.C.
La Statuetta di uno ZEMI, chiusa in una vetrina al
centro della sala d’ingresso, da il benvenuto.
Con il suo aspetto tranquillo, panciuto e colorato
incuriosisce e ci si chiede subito perché quel posto importante, per quale
merito?
Mi avvicino e leggo: “ZEMI – Rappresentazione di un
entità soprannaturale - Cultura Taino (XVI secolo) Inv. 4190”.
Sulla parete trovo la risposta alla mia domanda: come
una pergamena srotolata e affissa lì con tutti i suoi segreti disvelati leggo
che i Taino erano una popolazione che abitava in prevalenza le isole di Haiti,
la Repubblica Domenicana e Puerto Rico nelle Grandi Antille. Pacifici e “di
encomiabile mitezza e moralità” diversamente dai CARIBI o CANIBA che erano
guerrieri.
Lo ZEMI è realizzato con diversi materiali: quelli in
uso presso gli indigeni locali come semi – conchiglie - cotone e materiali di
provenienza europea come pasta vitrea. Ma anche corno di rinoceronte di
evidente matrice africana. Il volto che è scolpito nel corno del rinoceronte è
adorno della maschera di un pipistrello, gli orecchini discoidali di
grandi dimensioni e gli ornamenti tipici dei grandi capi ne definiscono la
figura. Leggo quindi l’interpretazione secondo cui “queste due facce, così
diverse l’una dall’altra, concedono all’oggetto una doppia o comunque
molteplice identità”. Per tutte queste ragioni, lo Zemi può essere considerato
il primo prodotto ibrido, espressione di una nuova identità conseguente
all’incontro tra questi mondi e culture tanto diverse tra di loro.
In un’altra vetrina della sala, vedo la copia in
facsimile del Codice Mixteco detto “Nuttall” conservato preso la Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze (cultura mixteca 1400 – 1500 d.C.) – il codice
Maya di Madrid (stesso periodo cronologico) – e i Pintaderas (timbri)
utilizzati per la pittura corporale appartenenti alla cultura Azteca (periodo
1300 - 1521 d.C.)
Tra i vari oggetti in roccia
vulcanica-basalto-pietra-ceramica-selce-granito ed alabastro che ritraggono
sacerdoti, donne, animali (cani, anatre, giaguari, ect) pugnali sacrificali,
propulsori e maschere funerarie scopro l’immagine di una figura umana con
alter-ego a forma di caimano quale espressione delle “società dell’istmo
centro-americano…” secondo cui “la percezione dei vincoli tra la realtà
umana e le altre forme di vita che popolano l’ambiente produsse la credenza
dell’esistenza di un legame di identità e corrispondenza tra ciascun uomo e un
determinato animale. Tale rapporto di identità spirituale che si protrae per
tutta l’esistenza è conosciuta come tonalismo. Nelle espressioni artistiche del
Nicaragua e del Costarica questo legame è rappresentativo molto spesso nelle
sculture” raffiguranti un alter-ego che rappresenta un uomo che porta
sulle spalle un animale.
In queste sale, è possibile capire come l’immagine
arrivi prima delle parole anche perché è attraverso lo studio dell’ oggetto -
reso al visitatore – che diviene possibile ricostruire la storia dei popoli e
delle culture-altre anche attraverso la quotidianità e le semplici usanze che
l’oggetto rappresenta. (Per un viaggio virtuale è possibile accedere anche
all’account pinterest e youtube del Museo omonimo)
Tra i vari popoli della Mesoamerica e del
centro-America troviamo gli Olmechi (1700-300 a.C), i Mixtechi e le
loro opere artistiche e la cui gente popolava la “terra delle nubi” con
riferimento alla peculiarità del territorio geografico abitato,
gli Zapotechi il cui tratto più saliente rimane la ricchezza del
cerimonialismo funerario, i Totonachi che vivevano una terra propizia ai
raccolti di mais, vaniglia e cacao e la cui arte, negli anni del loro massimo
splendore (intorno al VI-X secolo d.C.) è ricca di raffigurazioni del signore
dei morti e delle CIHAUATETEO ossia le donne morte di parto e il cui
destino era di divenire immortali; i Maya e le loro espressioni artistiche
sofisticate anche in ceramica fino a giungere agli Aztechi (o Mexica) popolo
guerriero, le cui manifestazioni artistiche più vistose sono
caratterizzate da pitture murali, come ad esempio, la pietra del sole o
calendario azteco. Ma gli Aztechi erano anche profondamente religiosi:
essi, credevano che il sole per superare il suo “viaggio notturno” e risorgere
poi nuovamente avesse bisogno di nuovo vigore ed energia che si poteva
attingere soltanto dal cuore e dal sangue dei prigionieri: motivo questo di
rituali cruenti di sacrificio umano e autosacrificio. In attesa della fine del
mondo (il quinto sole) che li predisponeva ad un atteggiamento fatalistico e di
precarietà verso l’esistenza umana stessa subordinata a deità terribili e
capricciose (raffigurate anche con maschere dalle espressioni alterate e
aggressive), essi servivano un “pantheon sorprendente di dei” tra cui
TEZCATLIPOCA o dio notturno e della distruzione e TLALOC o divinità della
pioggia. La loro cultura tra deità, guerre sanguinarie, ricchezza li vede
sempre alla ricerca di equilibrio e certezze. Il 13 agosto del 1521 (giorno 1
serpente dell’anno 3 – canna) la capitale azteca TENOCHTITLAN cade in mano
degli invasori.
E' la fine di un’era.