2018
BRUCE LEE E LO STILE DEL SUPER DRAGO
Ci sono
molti modi per raggiungere la consapevolezza personale ed interpersonale. Lo
sport è uno di questi. Basti pensare a come la pratica di una disciplina
sportiva contribuisca a perfezionare l’ intelligenza emotiva anche in virtù
delle strategie più opportune da mettere in atto nella competizione con l’avversario.
Sviluppando un programma di allenamento mirato che includa anche obiettivi di
autoregolazione comportamentale e la creazione di nuovi schemi mentali è
possibile raggiungere livelli di performance eccellenti.
(Per approfondimenti si rimanda a Gardner-Moore – Approccio
Mindfulness–Acceptance–Commitment MAC).
La breve ma intensa vita di Bruce Lee (n. San Francisco U.S.A., 27.11.1940
– m. Hong Kong, 20.07.1973) ne è un esempio fenomenale. Personalità eclettica,
fortemente determinata, autore di scritti sull’introspezione e numerose
tecniche di arti marziali, influenzato anche dai testi del filosofo indiano
Jiddu Krishnamurti (1895-1986) secondo cui il miglioramento
dell’essere passa necessariamente attraverso un lavoro di ricerca interiore e
l’espressione esteriore limpida e sincera della propria personalità.
La sua “avventura sportiva” ha inizio nella lontana Hong Kong con incontri
di full contact nelle strade cittadine, luoghi in cui la lotta è lo
strumento per emergere nel quartiere.
In quegli anni, sarà decisivo l’incontro con il maestro Ip Man da cui, oltre
ad apprendere le principali tecniche per atterrare il proprio avversario,
impara anche come liberarsi dalle costrizioni fisiche e psicologiche che
condizionano la scioltezza atletica nella lotta.
Nel 1967, in occasione del Campionato Internazionale di Karate di Long
Beach – California, Bruce Lee sorprende il pubblico esibendosi in quella che
sarà la sua tecnica principale: l’attacco, meglio nota come jeet kune do cioè la via del pugno
che intercetta.
In questo modo, la mossa dell’avversario viene neutralizzata con un attacco
anticipatorio, in un’escalation di colpi precisi e rapidi. Precorre in questo
senso, l’idea moderna della boxe secondo cui “Oggi il pugile più bravo è
chi sul ring prende meno colpi e colpisce maggiormente rimanendo vigile ed adattando
alle mutevoli situazioni gli schemi studiati in allenamento”. (VESPIGNANI G.–
BARBI M.,2012:19)
Bruce Lee pratica prevalentemente il kung
fu che considera il diretto antenato di altre discipline come karate e jujitsu rispetto alle quali però, l’azione non conosce momenti di
pausa: in particolare, il movimento risulta continuo e fluido. La propria
rivisitazione del metodo classico del kung fu lo porta a prediligere
economia del movimento stesso, e per farlo, attinge da una fonte inesauribile
di ispirazione come pugilato e scherma, comprendendo la grande
importanza dell’allenamento con i pesi per una preparazione atletica
eccellente.
In Bruce Lee il combattimento senza armi acquista un senso profondo,
orientandolo verso letture complesse e scientifiche, vicine anche alla fisica.
Come osservano Vespignani G. e Barbi M. le letture preferite rispecchiano la
cultura veramente complessa e ricca del personaggio “…figlio di un attore
di una compagnia dell’opera cinese e di una sino-tedesca di osservanza cattolica,
profondamente hong-konghese (cinese ma influenzato dalla cultura anglosassone)
ed alla fine della permanenza statunitense, sponda orientale (e di 10 anni
passati in California) straordinario mixage di cultura cinese ed occidentale …
influenzato da una formazione cattolica (frequentò le scuole dell’obbligo
presso prestigiosi istituti cattolici di Hong Kong) e dalla profonda conoscenza
della filosofia occidentale (frequenti i riferimenti a Platone, Tommaso
d’Aquino, Cartesio, Spinoza) ed orientale soprattutto il taoismo.. fino alla
psicologia, in particolare modo F.S. Perls, il fondatore della terapia
gestalt.” (VESPIGNANI G. – BARBI M.,2012:149-150)
La sua fine capacità nel lavorare sui punti di forza delle varie tecniche
studiate, lo porta a plasmare il proprio stile moderno come il “metodo del
non metodo” il cui obiettivo è assimilare da più fonti il meglio per
creare qualcosa di assolutamente migliorativo e nuovo.
Per Lee, la mente che non smette di ricercare nuovi stimoli di
apprendimento è la vera mente intelligente, capace di uscire dal circolo
vizioso che la porta ad applicare gli schemi mentali precostituiti. L’idea che
non debba essere utilizzata nessuna via come la via è da
considerarsi l’anarchismo epistemologico di Bruce Lee. (Vedi BOLELLI
D., 2015:221)
Retroterra culturale cinese, ma anche la dura esperienza da emigrante in un
lontano Paese, la sete di conoscere e capire - anche attraverso gli
studi universitari di filosofia - la cultura occidentale, lo portano a
un’azione in qualche modo rivoluzionaria e coraggiosa, in cui decide – tra
l’altro - di insegnare il kung fu agli occidentali, nonostante
nessuno prima di lui lo avesse mai fatto. Se l'America gli consente di
completare la sua preparazione accademica, lui è pronto a ricambiare
generosamente insegnando la propria cultura cinese, agli americani, in una
maniera del tutto disinvolta e spontanea.
Dotato di grande empatia, di eccezionale prestanza atletica (celebri le sue
flessioni in pubblico su due dita della mano), grinta, sincerità nel mostrarsi
agli altri nella sua essenza profonda, lo predispongono in modo naturale a
ruoli cinematografici carismatici, una di quelle rare persone capaci di
superare i confini culturali riuscendo a comunicare in maniera efficace, e
questo sin dal suo primo ruolo nelle vesti di Kato nella serie
televisiva, Il Calabrone verde (1966-67).
Nel 1973 il successo cinematografico diventa mondiale anche grazie ai suoi
film fortemente realistici e credibili, tanto da portarlo a ripetere alcune
sequenze anche decine di volte pur di raggiungere alti standard qualitativi.
La sua spiccata capacità di adattamento è ben espressa nella metafora
dell’acqua che spesso citava: devi essere privo di forma come l’acqua. Se
la versi in una tazza, l’acqua assumerà la forma della tazza perché l’acqua ha
la capacità di espandersi in modi illimitati.
BIBLIOGRAFIA
BOLELLI Daniele, Per un cuore da guerriero. Le
arti marziali, la filosofia e Bruce Lee, Torino, Add Editore, 2015
VESPIGNANI Giorgio – BARBI Moreno, Riflessioni
sul pugilato e la biblioteca di Bruce Lee. Appunti per un approccio
filosofico-scientifico all’allenamento coi pesi, BookSprint Edizioni, 2012
GARDNER F.- MOORE Z., Clinical
Sport Psychology, Champaign, IL: Human Kinetics, 2006
2016
MARIE CURIE E COME LA
FORTUNA AIUTA LE MENTI PREPARATE*
Marie Curie (alias Marya Salomee Sklodowska detta Manya) è stata una
donna leggendaria, di fama mondiale nel mondo scientifico; prima tra tutti a
vincere ben 2 Premi Nobel (nel 1903 per la fisica e nel 1911 per la
chimica). Marie Curie superò prove e sacrifici grandissimi, che invece di
piegarne la volontà fecero in modo di fortificarla nelle sue intenzioni e nei
suoi desideri, consentendole di raggiungere traguardi ambiziosi (in psicologia
questa capacità si chiama RESILIENZA). Fece in modo che le
stratificazioni di un lavoro quotidiano, certosino, inarrestabile le
consentissero di realizzare scoperte eccezionali: la sua mente si rivelò
estremamente adatta proprio perché fattori come privazioni, rigetto delle
discriminazioni e del ruolo femminile dell’epoca ma anche ambizioni parentali
furono canalizzati in una straordinaria sintesi creativa.
L' infanzia trascorsa in Polonia (caduta sotto l’egemonia politica di
Russia/Prussia/Austria) fu segnata in particolare da alcuni eventi: l’arresto
irreversibile della carriera scientifica del padre Wladyslaw Sklodowski (a cui
fu proibito l’insegnamento della chimica e della fisica) e dalla malattia della
madre Bronislava Bogusky che si ammalò di tubercolosi quando lei aveva solo 4
anni. La malattia la costrinse a periodi di separazione causati anche dalle
lunghe cure che la madre dovette affrontare in località lontane (come le Alpi
austriache).
La sua mente precocemente matura fece in modo che ogni esperienza avesse un
senso profondo e quindi un risvolto razionale, scientifico (anche la
contemplazione di un semplice tramonto poteva essere il momento per riflessioni
sull’astronomia e le sue leggi). Così fu per lei del tutto naturale,
ambire a studi universitari e il fatto che l’Università di Varsavia fosse
bandita ai membri di sesso femminile non la dissuase assolutamente dai suoi
propositi, trovando nella sorella Bronya un’alleata importante.
Tra sorelle fu sancito un patto (quale unica strategia economica che
avrebbe consentito ad entrambe l’accesso al titolo universitario): Manya
diciassettenne sarebbe andata a lavorare presso la famiglia Zorawski per 500
rubli annui e con il suo stipendio avrebbe sostenuto i costi degli studi della
sorella alla Sorbona (corso di laurea in medicina). A laurea conseguita Bronya
avrebbe ricambiato.
Durante il suo lavoro presso gli Zorawski, Manya si innamorò
ricambiata di Casimir figlio dei padroni; ma quando dichiararono i loro
progetti di matrimonio, come una doccia fredda le fu risposto che mai
avrebbero consentito a far sposare una donna come lei al proprio figlio: cioè
una donna senza un soldo che per mantenersi lavorava presso altre famiglie.
Casimir fece subito dietrofront quando realizzò che avrebbe perso il suo status
declassandosi ad un rango inferiore.
Nonostante la delusione e l’umiliazione profonde, Manya pur di poter
consentire alla sorella di completare gli studi non si licenziò e proseguì nel
suo lavoro di istitutrice presso gli Zorawski. Come dice la sua biografa B.
Goldsmith (2005:25) “…Aveva imparato che se aveva abbastanza pazienza e
tenacia poteva raggiungere anche ciò che era apparentemente inarrivabile.
Mascherava i sentimenti con freddezza intellettuale”.
Durante il periodo universitario affittò una stanza nel quartiere latino di
Parigi e nulla, nemmeno l’atteggiamento squalificante – in generale -
dell’epoca verso le donne (ne è chiara espressione un libro dell’epoca dal
titolo Il fisiologico ritardo mentale delle donne) minò le sue
convinzioni: continuò così i suoi studi insieme ad altre 22 donne iscritte a
fronte di una moltitudine di colleghi maschi di quasi 2000 iscritti!
Da quel momento, per la Curie fu un’escalation di riconoscimenti che
avrebbero contribuito ad abbattere barriere e pregiudizi nei confronti della
libertà delle donne, di seguito i principali:
- nel 1893 ottenne la laurea in fisica alla Sorbona: la prima
donna a conseguirla
- prima docente donna all’Università della Sorbona
- prima donna a vincere 2 premi
Nobel: il Premio per la fisica per la scoperta della radioattività (insieme al
marito Pierre CURIE e ad Henry BECQUEREL) e poi quello per la chimica
assegnatole per aver isolato polonio e radio.
E in tutto questo fu anche madre di due bambine, in una condizione che oggi
chiameremmo di famiglia monoparentale, dovuta alla morte precoce del marito in
seguito ad un grave incidente.
L’incontro con il futuro marito Pierre Curie le aveva consentito di
realizzare un’alleanza psicologia profonda fatta di interessi scientifici
comuni e di ferite sentimentali profonde, probabilmente mai risolte e che aveva
reso entrambi diffidenti verso nuove esperienze d’amore.
Per quanto riguarda il lavoro sincrono dei due, la Quinn osserva come
(2003:170) “… l’annuncio della scoperta del radio, alla fine del 1898,
segnò un punto di svolta nel rapporto di collaborazione scientifica che legava
i Curie. Sino ad allora, i ruoli erano pressoché intercambiabili…nel 1899, le
cose cambiarono: Marie si dedicò al compito, formidabile, di isolare il radio:
Pierre, accanto a lei, si concentrò sul fenomeno della radioattività, nel
tentativo di comprenderne il significato: Per la prima volta, Marie si dedicò
soprattutto alla chimica e Pierre soprattutto alla fisica”.
Poi la tragedia: il 19 aprile del 1906 Pierre Curie moriva.
Per la Curie seguirono periodi di dolore, di difficoltà, di solitudine fino
al giorno in cui incominciò - con il collega Paul Langevin, importante fisico
francese - una liaison che la travolse nello scandalo del
secolo; quando la moglie di lui - rese pubblica la relazione adultera
della Curie.
La Quinn considera che (2003:367) “…tutti i rovesci subiti negli
ultimi tempi, a cominciare dal rifiuto dell’Académie des Sciences di
accoglierla tra i suoi membri nel 1911, ebbe l’effetto di cancellare la sua
voce dalla rivista scientifica più letta in Francia, i Comptes Rendus: per gli
undici anni successivi, Marie non chiese più di presentare i suoi lavori all’
Académie e di conseguenza essi non vennero più inseriti nell’organo ufficiale
dell’istituzione”.
Del resto lo scalpore per la relazione con Langevin ostacolò la
realizzazione di numerosi progetti scientifici, anche se lei era ferma nel
distinguere la sua vita professionale da quella privata: prova ne sia che
quando le fu annunciato il conferimento del Nobel per la Chimica, e un membro
dell’Accademia di Svezia le scrisse invitandola a non presentarsi a Stoccolma
per ritirare il premio, lei sfoderando il coraggio che le era abituale
rispose qualcosa che suona molto simile a “La mia vita privata è mia soltanto –
il Nobel è frutto del mio lavoro professionale, me lo sono guadagnato e ora
verrò a prendermelo!”.
Fu poi durante la guerra che riuscì a riscattarsi agli occhi della nazione
di adozione divenendo paladina della Francia: resasi conto delle carenze
strutturali e della mancanza di una postazione mobile di primo soccorso negli
ospedali nel raggio urbano parigino si adoperò tenacemente per realizzarla.
I suoi progetti presero forma proprio per l' energica fiducia in
essi, nell’abnegazione nel perseguire la meta e come coglie la Goldsmith per
un’ossessione geniale.
Di grandissima importanza, l’intuizione della Curie che è la base poi della
moderna teoria atomica secondo cui: “la radioattività era
una proprietà atomica degli elementi da lei appena scoperti”. (Quinn
S. 2003:13)
Nel 1995 la Francia ha ufficializzato il riconoscimento a questa grande
donna con il trasferimento delle sue ceneri insieme a quelle del marito Pierre,
nel Panthéon. La Goldsmith (2005:XVI) riporta parte del discorso dell’allora
presidente Mitterand: “… non è solo un atto di memoria, ma è anche un
gesto con cui la Francia afferma la sua fede nella scienza e nella ricerca, e
dichiara il suo rispetto per coloro che qui consacriamo, per la loro forza e le
loro vite… E’ un altro simbolo che cattura l’attenzione della
nostra nazione, la lotta esemplare di una donna che decise di imporre le sue
capacità in una società in cui abilità, indagine intellettuale e responsabilità
pubblica erano riservate agli uomini”.
*Nota: “la fortuna favorisce le menti preparate” è una
citazione di Louis Pasteur (vedi Goldsmith B.; 2005:3)
Bibliografia
GOLDSMITH Barbara, Genio ossessivo Il mondo
interiore di Marie Curie, 2005, Codice Edizioni
QUINN Susan, Marie Curie. Una vita. La migliore
biografia di una donna davvero straordinaria, 2003, Bollati Boringhieri
PETRICELLI Assia – RICCARDI Sergio, Cattive
Ragazze – 15 Storie di donne audaci e creative, 2013, Sinnos (Marie Curie
p. 36 – 40 in versione graphic novel)
2014
HARRY HOUDINI E
"IL MODO GIUSTO DI SBAGLIARE"
“Il trucco in sé e
l’attrezzatura sono entrambi di secondaria importanza. Il successo è dato dalla
determinazione a mettere sempre più serietà nei vostri sforzi…” Harry Houdini
(2013:17)
E’ una sera d’inverno, di inizio secolo, in uno dei
più grandi teatri d’Europa, il Wintergarden di Berlino che per usare un
paragone dello stesso Houdini ha un’architettura moderna che lo fa
sembrare simile ad “una stazione ferroviaria”. (2013:13) Sul palco sta
per esibirsi quello che la storia consacrerà come uno dei più grandi
illusionisti ed escapologi del mondo: Ehrich Weisz alias Harry Houdini
nato a Budapest (Ungheria) il 24.03.1874 e morto a Detroit (USA) il
31.10.1926. Carismatico, muscoloso, provocatorio, intenso, sicuro di sé,
impareggiabile e camaleontico nel proporre le varianti più fantasiose della
fuga da una situazione di costrizione: come per esempio l’evasione da un
pianoforte zincato. Per l’appunto, la sua professione sul palcoscenico
consiste nel liberarsi da situazioni di imprigionamento fisico (manette,
camicie di forza, catene, ect,) o ambientale (gabbie, bauli, ect.) Nonostante
il suo mestiere sia l’illusione, Houdini non perde mai di vista il limite tra
fenomeno da palcoscenico ed etica professionale. Riconosce che ogni sua
capacità non è fatta di causalità, interferenze soprannaturali o quant’altro:
egli è concreto, pragmatico, non crea false speranze e combatte il
crimine, contribuendo a svelare frodi, regalando ai suoi spettatori il
sogno dell’impossibile (proprio perché i suoi numeri danno la sensazione di
poter controllare gli eventi, dirigerli).
Houdini ama il suo pubblico, vuole sbalordirlo con i
suoi trucchi e con la sua voce frutto anche di allenamenti - che oggi si
definirebbero di fitness - mirati a potenziare i polmoni e renderli “polmoni
eccezionali” (2013:15): consapevole in questo di come la voce, sia
importantissimo veicolo di comunicazione e vada quindi sapientemente dosata e
modulata nella maniera più opportuna. Diversamente, proprio nei grandi teatri
la personalità di un artista rischia di sfumare e perdersi, allentando
l’impatto emotivo della performance, se la voce non raggiunge anche le ultime
file e non le aggancia emotivamente con il suo tono, il suo timbro, la sua
intonazione. L’arte di Houdini è frutto di talento e di metodo, di incrollabile
volontà di superare – non il collega – ma sempre e solo se stesso, attraverso
il vecchio numero che andava sostituito con un altro più complesso e
sbalorditivo e che richiedeva sempre maggiore destrezza e abilità, sempre mosso
dal bisogno di perfezionarsi e di scoprire nuove alternative.
Houdini è geniale in virtù dei suoi meriti artistici e
professionali che trascendono il tempo storico che li ha visti realizzare nella
sua propria vita: infatti, le sue azioni, il suo pensiero, il suo stile di vita
si tramanda alle generazioni successive che lo emulano rendendo la sua leggenda
attuale, moderna, fonte di ispirazione e di insegnamento.
Come individua Pizzi A. (2010) la differenza tra
intelligenza e creatività sta nel fatto che l’individuo intelligente attraverso
una sua propria capacità logica di pensiero è in grado di trovare soluzioni ai
problemi in genere (problem solving) mentre
il creativo individua i problemi e li isola (problem
finding) e proprio in virtù di ciò deve possedere una certa immaginazione,
vari interessi ma anche motivazione. Il creativo vive male le costrizioni
e i limiti del già conosciuto proprio perché le sue tendenze sono quelle
di riplasmare e definire con nuove soluzioni quelli che sono i campi del suo
interesse, del contesto in cui vive o a cui aspira. Il genio è
avanti sui tempi, sa cogliere il nuovo in elementi che l’uomo normale giudica
spesso irrilevanti, a volte banali. La sua mente passa dall’astrazione
all’immaginazione per valutare e analizzare gli aspetti, la portata e la
concretezza delle sue ipotesi e delle sue supposizioni poi le ancora al
presente attraverso la realizzazione del suo progetto.
Nel libro di Houdini “Il modo giusto di
sbagliare”- Edito in Italia da add Editore, 2013 Torino - è un piccolo gioiello
nel suo genere e il titolo della prefazione di Lorenzo “Jovanotti”
Cherubini già lo intima “Vi avverto, questo libro merita” (pagina 7).
Come coglie Jovanotti, questo testo ci aiuta a
comprendere come ciò che si fa deve essere fatto con cura e “studio incessante”
(ibidem: p.8) infatti scrive “Io vado pazzo per quelli che fanno bene le cose.
Crescendo me lo ritrovo come valore fondamentale: mettercela tutta per fare
bene quello che si fa. Trovare il modo giusto anche per sbagliare….se è il caso”.
Questa pubblicazione in italiano dell’originale
- The right way to do wrong - edito per la prima volta nel lontano
1906 prevede una serie di consigli del celebre mago per coloro che
intraprendono questa nuova professione artistica, unitamente ad alcuni accorgimenti
necessari per chi vuole calcare il palcoscenico, presentando infine
alcuni aneddoti relativi alla sua carriera con il risultato di
alternare momenti di semplice divertimento ad altri di alto tecnicismo.
Numerosi sono i momenti che dedica al disvelamento
delle strategie con cui abili truffatori aggirano le proprie vittime.
Nella postfazione, Teller alias Raymond Joseph Teller
(nato nel 1948) anch’egli celebre illusionista (vedi p. 185) coglie
in Houdini le capacità dell’abile conoscitore del marketing con il suo
brand d’eccellenza: l’escapologia.
In effetti, sapeva attirare il suo pubblico come il
miele alle api. Giunto in una nuova città calamitava nuovi spettatori con un
metodo d’effetto: si faceva calare testa in giù in una camicia di forza dal più
alto edificio cittadino e quando la piazza si ghermiva di curiosi con il naso
all’insù ecco che aveva raggiunto il suo scopo: se non quella stessa sera ma la
successiva, quelle persone avrebbero pagato il biglietto del suo spettacolo al
teatro. Per attrarre bisogna saper suscitare interesse, incuriosire e Harry
Houdini tutto questo lo aveva capito molto bene.
Bibliografia:
Harry Houdini , Il modo giusto di sbagliare, 2013 ADD
editore Prefazione di Lorenzo “Jovanotti” Cherubini – Postfazione di
Teller
http://eduardoevangelista.blogspot.it, CREATIVITÀ
E GENIO - A cura di Antonello Pizzi 4 ottobre 2010
°°°°
Molto brevemente si può affermare che la grafia di
Houdini è tipica del grande osservatore in grado di concentrarsi sulle proprie
azioni (ad es. segno fluida, rapida) con capacità di logica e sintesi (ad es.
tratti legati).
Questi segni esprimono questa sua qualità proprio in
virtù dell’alto valore di intensità del segno, della frequenza e del sinergismo
anche con altri segni, con ottimizzazione dell’investimento mentale ma anche
fisico in ciò che esegue e valuta (il calibro è tendenzialmente piccolo). La
presenza del segno divaricata dimostra che sa cogliere gli elementi salienti
del contesto, unitamente alla contorsione degli assi (contorta) avvalora
un’accentuata capacità tecnica anche in campo meccanico.
L’entusiasmo, la dedizione è di grado elevato tanto
che possiamo ipotizzare che l’emozione e il sentimento possono sopraffarlo
anche nelle decisioni proprio in virtù dello slancio affettivo che lo muove.
(Il sinergismo dei segni precedentemente riscontrati + tagli t lunghi + stretta
tra parole, occhielli scoperti) (tendenza che si accentuata in presenza di pendente
).
L’andamento è privo di tortuosità, il tratto è legato,
la scrittura è prevalentemente chiara, proprio ad avvalorare la sua natura
trasparente, la sua rettitudine morale.
Si rileva la volontà di imporre le proprie idee (ad
es. aste grosse) e la propria azione nell’ambiente anche con momenti di
cerimoniosità seppur con democraticità e rispetto dell’altro
(retta, chiara, pendente, filetti sottili, interrigo giusto ) anche se in
alcuni momenti è fortemente dominato dalla necessità di imporre il proprio
pensiero (probabilmente con reazione dovuta a situazioni in cui vuole il
chiarimento, il confronto, la trasparenza).
Nella firma si rileva particolarità della costruzione
della lettera H maiuscola assolutamente esuberante, resa con vigore, slancio,
velocità esecutiva. I moti ingegnosi sono evidenti proprio per alcuni
tratti di alta personalizzazione sia per definizione di lettere con legamenti
che per velocità di esecuzione, slancio e moto che non sono facilmente
riscontrabili nella media e moda della popolazione.
Si tratta di una scrittura tendenzialmente accelerata
per presenza di ghirlande, tratti slanciati, moti a ruota che dimostrano
necessità di passaggio immediato all’azione.